Una donna forte, volitiva, appassionata di Dio. E’ Santa
Caterina da Siena, patrona d’Italia, dottore della Chiesa, che viene celebrata oggi. Se qualcuno visita
il Palazzo dei Papi ad Avignone può vedere ancora il suo busto. Il volto di quella donna
giovane, decisa, che fece chilometri, nel 1300 quando non c’erano aerei e
neanche bus, per dire a Gregorio XI di tornare a Roma e mettere fine all'esilio
del papato. Scrisse a potenti, fu una grande diplomatica. Ma soprattutto fu una
mistica che per unirsi completamente a Dio sacrificò il suo corpo, rinunciando
a mangiare. Caterina da Siena è una delle cosiddette “sante anoressiche” per le
quali rinunciare la cibo era un modo per affermare la propria volontà. Non è
una caso che cominciò questa pratica da adolescente per protestare
silenziosamente contro la famiglia, in particolare la madre, che la voleva dare
in sposa al cognato, il marito della sorella morta. E la spuntò diventando
terziaria delle Mantellate, ordine che le consentì di assistere
i malati. Ma per tutta la vita continuerà a digiunare fino a che le penitenze
estreme la porteranno alla morte a soli 33 anni.
Palazzo dei Papi, Avignone. |
“Santa Caterina – scrive Rudolph M. Bell
che al fenomeno ha dedicato un saggio - fu una delle prime donne ad ostentare la cosiddetta ‘santa anoressia’, per ricordarci che le
manifestazioni di digiuno estremo possono essere molto più complesse di quanto
le descrizione cliniche dell'anoressia nevrotica implichino”. “L'approccio
scientifico – prosegue Bell, autore di “La santa anoressia”, edito da Laterza - tenta di
confutare il significato spirituale di privazione dal cibo diagnosticando uno
stato di malattia laddove dal punto di vista religiosa il presunto paziente sta
invece vivendo una liberazione personale, un'unione mistica col sovrannaturale.
Come giudicherebbero i medici contemporanei una Teresa d'Avila dei nostri
giorni, che si spinse un ramo d'ulivo nell'esofago per indursi il vomito
prima di ricevere la comunione? Le cinque autobiografie di Veronica Giuliani,
nelle quali ella racconta come leccasse il pavimento e mangiasse i ragni e i
vermi, costituiscono un caso clinico o simili gesti di auto-mortificazione sono
piuttosto da considerarsi esempi di trionfo della mente sul corpo? Il rifiuto
di Gemma Galgani di sottostare all'ordine del suo confessore che le imponeva
di nutrirsi, deve essere considerato un tentativo di liberarsi di lui e delle
sue puerili velleità di intromettersi nella sua relazione amorosa con Gesù? Se
ascoltiamo con attenzione, l'esortazione delle sante medievali a raggiungere
l'estasi mistica - conclude lo studioso - riecheggia nei secoli fino ai nostri giorni”.
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